L’asino di Buridano in azienda

Nel 1300, il filosofo Giovanni Buridano inventò il paradosso secondo il quale un povero equino, trovatosi di fronte a due mucchi di fieno identici e non riuscendo ad indirizzare la sua scelta verso l’uno o verso l’altro, si lasciò morire di fame.

Qualcosa di simile può accadere anche in azienda. All’inizio di ogni processo di cambiamento occorre precisare le direzioni in cui si svilupperà l’attività. Le esperienze già effettuate offrono utili quadri di riferimento e altri elementi sono forniti dall’osservazione e dell’analisi del contesto in cui si opera. Si può essere più o meno soddisfatti dei risultati ottenuti, essere orientati a confermarli o a modificarli per rispondere a nuove esigenze di mercato.

Ma è proprio a questo punto che può manifestarsi la sindrome dell’asino di Buridano. Che cosa vuol dire, infatti, essere più o meno soddisfatti di un risultato? Quale relazione si può stabilire tra la scelta dei dirigenti e il livello di competenza dei dipendenti? Da quale punto di vista i prodotti della propria azienda possono essere considerati migliori di quelli della concorrenza?

La sindrome di Buridano consiste nella nascita di un’indeterminatezza dei problemi e delle soluzioni che impedisce di assumere decisioni concretamente finalizzate al conseguimento di un effetto desiderato.
Superare questa sindrome non vuol dire eliminare i dubbi, che sono sempre un segno di attenzione critica al lavoro che si svolge, ma significa ridurre la casualità e il rischio che si collega ad attività delle quali non si è in grado di individuare gli sviluppi possibili.

Non si può attendere che gli eventi procedano in un modo o nell’altro, occorre saperli indirizzare verso il conseguimento di risultati attesi e attendibili. Occorre chiarire che cosa non ha soddisfatto, in quali aspetti i risultati hanno disilluso le attese, quali comportamenti si sono rivelati poco efficaci: in altre parole, è necessario avviare un percorso autovalutativo al termine del quale i problemi da affrontare risulteranno meglio definiti. Percorso il cui punto di partenza è una solida analisi organizzativa.

L’analisi organizzativa non è ricerca fine a se stessa, non è letteratura autocelebrativa ma è uno strumento che offre un’osservazione complessiva delle realtà complesse, che facilita la comprensione di meccanismi nascosti e che, di conseguenza, orienta in maniera più corretta le scelte su come e dove intervenire per crescere e migliorare. È uno strumento di lavoro capace di sostenere l’attività e di contribuire alla sua regolazione senza perdere troppo tempo ed energie.

Valentina Vinotti

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